Come da attese, nella riunione di settembre la Fed ha aumentato i tassi d’interesse dello 0,75%, portandoli al livello più alto dal 2008, e facendo ulteriori commenti da falco sul fatto che la sua priorità è abbattere l’inflazione ad ogni costo.

Riteniamo che questo tipo di approccio trascuri palesemente i danni collaterali che potrebbero derivarne. Abbiamo avuto 225 pb di rialzo dei tassi nelle ultime tre riunioni della Fed e 300 pb quest’anno: si tratta di un aumento enorme in un breve periodo, soprattutto perché l’impatto sarà pienamente assorbito solo nei 12-18 mesi successivi. Al momento in cui scriviamo, i mercati si aspettano che la Fed effettui rialzi per almeno altri 120 pb, fino a raggiungere il 4,6% all’inizio del prossimo anno. Anche i tassi di interesse reali, ovvero il rendimento di un’obbligazione dopo aver tenuto conto delle aspettative di inflazione prezzate dal mercato, sono aumentati in modo significativo.

Riteniamo che i posteri considereranno questo periodo di politica delle banche centrali come una serie di terribili errori. L’inflazione è stata più ostinata di quanto molti investitori – noi compresi – si aspettassero, ma sta chiaramente rallentando. La recessione globale è certa. Le banche centrali e i governi hanno già messo in atto un fortissimo inasprimento: oltre 300 rialzi dei tassi in tutto il mondo dal primo trimestre del 2021, riduzioni della spesa fiscale, un dollaro molto più forte (l’ampio paniere del dollaro è ora a livelli che abbiamo visto per breve tempo nei primi anni 2000, e prima ancora nei primi anni ’80) e un inasprimento delle condizioni finanziarie, insieme poi a un’ingente distruzione di ricchezza dovuta al calo dei mercati azionari e obbligazionari in tutto il mondo. Un ulteriore irrigidimento della politica monetaria attraverso i rialzi dei tassi e il tapering causerà una recessione globale inutilmente profonda e dolorosa.

Troppa paura dell’inflazione

Perché allora la Fed è così aggressiva? A nostro avviso, ha un’eccessiva paura dell’inflazione. Riteniamo inoltre che il presidente Jerome Powell sia preoccupato di ripetere gli errori commessi dalla Fed all’inizio degli anni ’70, quando non riuscì a debellare l’inflazione. Con questo non vogliamo sminuire gli aumenti dei prezzi registrati quest’anno, che hanno avuto un impatto molto rilevante su famiglie, consumatori e imprese. Abbiamo assistito a un aumento delle spese alimentari e a un’impennata dei prezzi delle materie prime, in particolare del gas naturale, che in Europa rappresenta un problema enorme. Tuttavia, i fattori che hanno guidato l’inflazione non sono strutturali e stanno già iniziando a svanire.

Nel 2021, l’inflazione è stata legata in gran parte ai problemi delle catene di approvvigionamento post-Covid, che ora si sono attenuati. Quest’anno, il fattore trainante è stata la guerra in una regione cruciale (Ucraina/Russia) per l’agricoltura e l’energia. I prezzi del gas naturale sono più che raddoppiati e il petrolio, al suo picco, è aumentato di quasi il 50%. Nel mentre, abbiamo assistito a disruption nella forza lavoro post-Covid, con un ulteriore aumento dei costi per le aziende. L’incremento dei costi dei fattori produttivi – energia, manodopera, beni alimentari – si è ripercosso sui prezzi in tutto il mondo.
l’inflazione si sta attenuando
L’inflazione che vediamo ora è per lo più nello specchietto retrovisore; se guardando avanti sta rallentando. Le perturbazioni, come le code nei porti e i problemi delle catene di approvvigionamento, si stanno attenuando. I costi delle spedizioni stanno crollando. Le materie prime (a parte il gas naturale) sono scese di molto rispetto ai picchi del secondo trimestre. Man mano che il costo della vita aumenta e i consumatori passano dallo spendere i sussidi all’esaurire il credito (una tendenza evidente nei dati statunitensi), ci aspettiamo che le persone tornino a lavorare. Questi indicatori ci danno la convinzione che l’inflazione rallenterà, come dimostrano le aspettative di inflazione a lungo termine, che sono tutt’altro che svincolate dagli obiettivi della banca centrale e sono in calo. Ad esempio, i tassi breakeven statunitensi a uno e due anni, che riflettono le aspettative del mercato sull’inflazione in quel periodo, sono crollati negli ultimi mesi. Vale anche la pena di sottolineare che la crescita della massa monetaria, a sei mesi su base annua, si attesta a quasi -1%. Con un ulteriore inasprimento della Fed, è probabile che questo dato si riduca ulteriormente.

L’inflazione potrebbe richiedere del tempo per scendere. I numeri anno su anno sono ancora influenzati dagli effetti base. L’ultimo dato CPI (Indice dei Prezzi al Consumo) è stato superiore alle previsioni. Gran parte di questa sorpresa al rialzo è stata causata dagli alloggi (abitazioni/affitti), che costituiscono circa il 30% dell’inflazione core degli Stati Uniti, in particolare l’affitto equivalente al proprietario (Owner-Equivalent Rent – OER). L’inflazione degli alloggi è regolare e persistente. L’edilizia residenziale statunitense sta rallentando in modo significativo, perché l’aumento dei tassi ipotecari e dei prezzi ha spinto l’accessibilità degli alloggi a livelli che non si vedevano da prima della crisi finanziaria globale. L’OER scenderà a tempo debito. Vale anche la pena notare che non abbiamo ancora visto il calo dei prezzi delle materie prime tradursi pienamente in una riduzione dei prezzi alla pompa di benzina o nei negozi.
Dati davvero terribili
Possiamo già intravedere un percorso verso un’inflazione più moderata nei prossimi 6-12 mesi. Ciò che questa analisi non coglie ancora è che la recessione causerà un rallentamento ancora più rapido dell’inflazione. Se si considerano gli ultimi 100 anni, la recessione porta a un calo dell’inflazione di poco inferiore al 7%, in media. Nel 2008, ci sono voluti otto mesi perché l’inflazione scendesse da quasi il 6% a un confortevole territorio di deflazione. Anche negli anni ’70, quando il mondo si trovava di fronte a forze inflazionistiche strutturalmente molto più forti, come l’ingresso dei baby boomer nella forza lavoro, e a un debito globale di gran lunga inferiore, le recessioni hanno fatto crollare l’inflazione e i rendimenti obbligazionari.

I motivi per sperare che la crescita economica globale possa essere sostenuta sono di natura retrospettiva e non sono supportati dai dati attuali. Se da un lato i numeri dei posti di lavoro negli Stati Uniti sono stati solidi, dall’altro vediamo che le persone accettano un secondo lavoro per far fronte all’aumento dei costi. Gli indicatori prospettici sono davvero terribili. Oltre il 40% dei dati dell’indice dei responsabili degli acquisti (PMI) è inferiore a 50, il che indica una contrazione dell’attività economica. Se si considerano i dati sui nuovi ordini, che guidano i PMI, la percentuale di paesi che mostrano una contrazione sale a oltre il 70%; ciò suggerisce un’ulteriore debolezza in futuro. Abbiamo già accennato al crollo dei tassi di trasporto e delle abitazioni: le richieste mensili di mutui ipotecari negli Stati Uniti sono scese ai livelli più bassi dal 2015. E dove va l’edilizia abitativa statunitense, va anche l’occupazione e la crescita in generale.

Il grafico sottostante mostra la relazione tra il sentiment abitativo e il mercato del lavoro negli Stati Uniti. Il settore immobiliare si sta indebolendo anche in Australia, Canada, Corea del Sud, Svezia e molti altri Paesi. Negli ultimi 75 anni, quando il tasso di disoccupazione è aumentato più dello 0,5% si è verificata una recessione. Se la crisi del costo della vita è estremamente dannosa, una recessione incombente con un aumento della disoccupazione è molto più devastante.
Dove va il settore immobiliare, va anche il mercato del lavoro
Where housing goes employment follows
Al 31.08.22. Fonte: Bloomberg
Finora gli utili societari sono stati relativamente resilienti, ma sono un altro indicatore che guarda al passato. La spesa dei consumatori è sottoposta a un’enorme pressione a causa dell’inflazione, che combinata con l’effetto negativo sulla ricchezza dei movimenti dei mercati azionari e obbligazionari e con il rallentamento del mercato immobiliare, ha causato un crollo del sentiment dei consumatori. Sotto la superficie, la spesa dei consumatori ha visto una transizione dalla spesa basata sugli assegni di stimolo dell’era pandemica all’indebitamento con carte di credito e di altro tipo. Il deterioramento del bilancio dei consumatori si ripercuoterà sugli utili. Ne stiamo già vedendo i primi segni con aziende come FedEx, Meta e Boeing che hanno annunciato tagli di posti di lavoro. Le aziende che si rivolgono ai consumatori, come Walmart e Target, si stanno preparando a tagliare i prezzi per spostare le scorte. La situazione è destinata a peggiorare.
Cina più debole
Siamo anche molto preoccupati per l’impatto a lungo termine della Cina sulla crescita globale. Il tasso di deterioramento della demografia cinese nei prossimi dieci- vent’anni è spaventoso; è più rapido persino di quello di Giappone, Corea del Sud ed Europa. Il costo della gestione della bolla del debito immobiliare cinese è immenso: ci aspettiamo che la Cina cerchi di “cavarsela” a spese di una crescita materialmente inferiore. Anche le politiche di zero Covid del Paese non aiutano. Questa volta la Cina non salverà la crescita economica globale e sarà particolarmente dura per i Paesi dei mercati emergenti e per quelli, come l’Australia, che hanno stretti legami con la Cina.

Questo è probabilmente uno degli anni più difficili che abbiamo visto e vedremo nel reddito fisso, dato il balzo dei tassi e l’allargamento degli spread. Mentre ci avviamo verso il quarto trimestre, i rendimenti obbligazionari ci dicono che l’inflazione continuerà a sostenere la stretta della Fed e i mercati azionari indicano un atterraggio relativamente morbido. La nostra analisi fornisce una prospettiva diversa: la politica monetaria presenta un ritardo significativo tra azione ed effetto: la Fed e le altre banche centrali hanno già adottato misure più che sufficienti a rallentare l’inflazione e a provocare una recessione, ma continuano a stringere perché l’impatto di ciò che hanno fatto non si è ancora manifestato. In particolare, l’evolversi di questa catena di eventi reintrodurrà la correlazione negativa tra titoli di Stato e attività di rischio, assente dai mercati negli ultimi 12 mesi.
Cosa significa per gli investitori
Cosa significa questo per i mercati e per i nostri portafogli? In primo luogo c’è un’alta convinzione che i rendimenti obbligazionari saranno molto più bassi, poiché la Fed si sta muovendo sullo sfondo di una possibile profonda recessione e la narrativa del “whatever it takes” si sta spostando dalla lotta all’inflazione alla prevenzione della depressione economica. L’eccesso di rialzi dei tassi di oggi porterà a rendimenti ancora più bassi domani. Ciò rende i rendimenti dei titoli di Stato di alta qualità a media e lunga scadenza negli Stati Uniti e in Australia incredibilmente interessanti. Mentre i mercati azionari sembrano compiacenti, i mercati del credito sembrano aver prezzato meglio una recessione e alcune parti dell’universo creditizio appaiono più interessanti, anche se la volatilità non mancherà. Il vantaggio degli investitori obbligazionari è che, scegliendo i crediti giusti ed evitando le insolvenze, possiamo già iniziare ad accedere a rendimenti incredibilmente interessanti. Sebbene l’economia globale stia attraversando un periodo difficile, si sta presentando la migliore opportunità di acquistare obbligazioni da una generazione a questa parte.

Le fonti di tutti i dati sono Bloomberg, al 23 settembre 2022.

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