Gli investitori obbligazionari stanno facendo i conti con segnali contrastanti che emergono dal contesto macroeconomico e che potrebbero introdurre più volatilità sul mercato. Sebbene l’economia USA sia ancora resiliente, i tassi reali sono alti e se rimanessero più alti più a lungo la domanda potrebbe raffreddarsi.

Appena qualche settimana fa la Federal Reserve americana (Fed) ha iniziato l’allentamento monetario con un robusto taglio dei tassi di 50 punti base. Tuttavia, i mercati hanno già diminuito le aspettative di ulteriori riduzioni, vista la forza dell’economia USA.

La mossa della Fed è stata indotta dall’incremento della disoccupazione e dall’inflazione in rallentamento. L’elemento da notare di questa prima riduzione della Fed in 4 anni e mezzo è l’entità del taglio (50 punti base invece di 25 punti base), in un momento in cui l’azionario USA è ai massimi e gli spread creditizi USA sono ai minimi.

I dati rilasciati dopo il meeting della Fed di settembre sono stati più solidi del previsto. Ad esempio, i dati dei salari non agricoli hanno mostrato che il mercato del lavoro resta forte nonostante una risalita del tasso di disoccupazione. Dalla pandemia in poi, tendenzialmente i mercati si basano sui dati più recenti quindi è importante considerare i temi strutturali in senso più ampio che hanno un impatto sul ciclo economico.

La spesa fiscale elevata e i bilanci rassicuranti di famiglie e imprese, sostenuti da mercati del rischio in crescita, stanno offrendo sostegno all’economia USA contro la pressione esercitata da tassi d’interesse elevati che sono stati prevalenti per più di due anni. In un mondo con minor offerta di lavoro e di commodity, questo implica che ora è molto più facile che si generi inflazione, un’inversione rispetto alla decade del 2010.

Questo è ben evidenziato dai sondaggi sulle famiglie statunitensi che indicano come queste ora prevedano un’inflazione più alta e più volatile. È questa combinazione di scarsità di offerta nelle risorse chiave edi una domanda più forte che rende il regime attuale diverso rispetto a quello passato.
Perché la spesa fiscale attuale negli USA è un problema
Fonte: BLS, Tesoro americano 30/09/2024
Il grafico qui sopra dimostra la natura inusuale dell’attuale spesa governativa. Prima della pandemia, quando l’economia era solida e il tasso di disoccupazione restava basso, la spesa governativa è scesa. Questa era la risposta fiscale più appropriata perché in questo contesto il governo spende meno in sussidi di disoccupazione nonostante abbia maggiori entrate fiscali dalle tasse.

Dalla pandemia in poi è successo l’opposto, cioè la spesa governativa cresceva man mano che l’economia migliorava. Quando un’economia ha buone performance, l’ultima cosa di cui ha bisogno è ulteriore domanda e con essa più inflazione. Questo alto ritmo di spesa a livello governativo spiega perché l’economia USA abbia evitato la recessione, nonostante il ciclo di rialzo più aggressivo nell’arco di una generazione.
Maggiore spesa in vista
Riteniamo improbabile che sotto la nuova amministrazione USA cambi lo scenario del deficit, visto che le attese sono per un’ulteriore crescita del debito pubblico federale oltre i 36mila miliardi di dollari che rappresentano circa il 120% del Pil. Nell’ultimo report di monitoraggio fiscale, il Fondo Monetario Internazionale ha previsto che il deficit fiscale USA arriverà a tre volte quello tedesco.

Sebbene l’inflazione USA si sia indebolita rispetto al picco del 2022, il livello più alto raggiunto in oltre 40 anni, non è ancora al di sotto dell’obiettivo della Fed del 2%. L’incertezza geopolitica, specie il conflitto in Medio Oriente in corso, potrebbe innervosire i mercati petroliferi. Il risultato delle elezioni USA potrebbe anch’esso far salire le tensioni sul commercio e l’immigrazione, stimolando una risalita dell’inflazione.

Un fattore cruciale che aiuterà a combattere le pressioni inflattive sono i tassi d’interesse elevati. Nell’ultimo riepilogo delle proiezioni economiche, la Fed stima il tasso di neutralità, cioè il livello che non rappresenta né uno stimolo né una restrizione per l’economia, al 2,9%. Attualmente i tassi d’interesse sono vicini al 5%, ben al di sopra di quel livello, e vicino ai massimi dalla crisi finanziaria globale.

Durante l’estate i rendimenti obbligazionari lungo tutta la curva sono scesi, incoraggiati da voci sempre più insistenti di un atterraggio duro o di una recessione. Tuttavia, i rendimenti hanno ricominciato a salire lentamente a causa della narrativa economica più volatile. Il futuro percorso di allentamento monetario della Fed resta incerto e gli investitori discutono del ritmo e della portata del ciclo di allentamento. Dal nostro punto di vista, il taglio dei primi 100 punti base sarà la parte più facile per la Fed, mentre le previsioni per il 2025 sono incerte.

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