La fine dell’anno è sinonimo di propositi, previsioni e ottimismo su ciò che porteranno i prossimi 12 mesi. I commentatori di tutto il mondo tirano fuori sfere di cristallo e grafici astrologici per discernere il percorso futuro dei mercati, spesso con dubbia efficacia. Riteniamo giusto, prima di parlare delle nostre prospettive per il prossimo anno, andare a vedere cosa è stato del nostro outlook per il 2023.
Guardando indietro
L’anno scorso in questo periodo, eravamo entusiasti delle prospettive per i mercati emergenti per tre ragioni.

In primo luogo, sembrava che il picco del dollaro si stesse rapidamente avvicinando. Esiste una forte relazione inversa tra il dollaro statunitense ed i mercati azionari emergenti, e ciò sarebbe andato a vantaggio della nostra asset class. Questo si è più o meno verificato. Dopo 11 aumenti consecutivi, i tassi di interesse statunitensi sono rimasti stabili al 5,25% negli ultimi due incontri della Federal Reserve (FOMC). L’inflazione sembra ormai sotto controllo. Dall’ultima riunione del FOMC di fine ottobre, l’indice USD ha perso il -3,5%. L’indice MSCI EM ha guadagnato il 7,7%. Sebbene ci sia voluto del tempo per rassicurare i mercati sul fatto che la politica monetaria stesse funzionato, questi segnali sono incoraggianti per le azioni dei mercati emergenti.

In secondo luogo, nel dicembre dello scorso anno, la Cina era appena uscita dal suo ultimo lockdown. La ripresa post-Covid era una prospettiva entusiasmante, in particolare l’idea di una revenge spending guidata dai 5,6 trilioni di dollari risparmiati durante la pandemia. È giusto dire che le cose non sono andate come la maggior parte delle persone avrebbero immaginato: dopo un inizio incoraggiante, la geopolitica, il settore immobiliare e la scarsa fiducia dei consumatori hanno reso la Cina il principale mercato azionario con la peggiore performance quest’anno. L’indice MSCI China non è lontano dai minimi dell’era Covid, con l’aggregato del rapporto prezzo/utili corretto per il ciclo (una misura della valutazione di una società rispetto alla media a lungo termine dei suoi utili) a livelli che non si vedevano dal 2016. Le valutazioni sono crollate. Dal 2000, su questa base, le aziende cinesi sono risultate più economiche solo nel 4% dei casi (Bloomberg, 2023). Questa è la seconda economia più grande del mondo, caratterizzata da una popolazione istruita e da imprese di livello mondiale, in un contesto di miglioramento delle relazioni con l’Occidente e di una serie sempre più efficace di spinte politiche. Eppure le valutazioni rimangono ostinatamente basse. Abbiamo raggiunto il picco del pessimismo? La nebbia che circonda le prospettive della Cina si sta sempre più diradando e, sebbene non si sia esaurita nel 2023, riteniamo che ci siano condizioni fertili per una ripresa nei prossimi 12 mesi.

In terzo luogo, abbiamo parlato dell’impressionante differenziale di crescita tra i mercati emergenti e quelli sviluppati. Anche questo ha cominciato a dare i suoi frutti. Sebbene la maggior parte delle economie sviluppate sia riuscita a evitare la recessione nel 2023, le previsioni di crescita riviste al ribasso del FMI dipingono un futuro di crescita del PIL piuttosto anemico pari all’1-2%. Le economie emergenti, d’altro canto, hanno continuato a crescere nel corso del 2023 e ora presentano gli indicatori principali relativi più forti da giugno 2009; e, includendo anche la Cina, l’indice aggregato PMI è vicino al livello più alto di sempre. A questo contesto già solido si sovrappongono il sostegno delle banche centrali dei mercati emergenti e condizioni attraenti del mercato azionario: per la prima volta nella storia, si prevede che i tassi di interesse dei mercati emergenti scendano al di sotto di quelli dei mercati sviluppati nei prossimi 4 trimestri (in aggregato). Ne abbiamo già avuto prova nella performance dei mercati azionari emergenti nella seconda metà dell’anno.

Anche se sembra che due delle nostre previsioni si siano avverate, che impatto hanno avuto sull’asset class? A prima vista, le azioni dei mercati emergenti hanno avuto un 2023 difficile, registrando un rendimento del +5,8% a fine novembre 2023 rispetto al +20,4% che gli investitori avrebbero ottenuto mantenendo l’indice S&P 500, un indicatore della performance dei mercati sviluppati. Tuttavia, questo è un confronto leggermente fuorviante. In primo luogo, sopravvaluta sia l’impatto positivo delle “Magnifiche 7” aziende tecnologiche statunitensi sia l’impatto negativo del mediocre 2023 della Cina. Per comprendere come si è comportata la maggior parte dei titoli dei mercati emergenti rispetto alla maggior parte dei titoli dei mercati sviluppati, è più ragionevole fare un paragone con l’indice MSCI EM ex China rispetto all’indice S&P 500 equamente ponderato. Ora come cambiano le cose. Da questo punto di vista, i mercati emergenti, Cina esclusa, hanno reso +12,1% rispetto al +5,3% dei mercati sviluppati. Possiamo dire che qualcosa stia funzionando qui.
A caccia dello scenario “Goldilocks”
Guardando al 2024, riteniamo di avere il più interessante mix di fattori a sostegno della performance dei mercati emergenti dall’inizio degli anni 2000. Il nostro scenario “Goldilocks” per il 2024 è che (1) gli Stati Uniti evitino una recessione e (2) continuino a formulare aspettative di crescita relativamente basse in un ambiente in cui (3) i tassi di interesse globali rimangono stabili o iniziano a scendere con (4) un indebolimento del dollaro. In questo contesto, la crescita relativamente più elevata a disposizione degli investitori nei mercati emergenti diventa più evidente, portando a un aumento delle allocazioni nell’asset class e a un maggiore sostegno ai prezzi degli asset. Una ricerca condotta dalla Bank of America all’inizio di quest’anno ha mostrato che il sottopeso degli investitori nei mercati emergenti a livello globale, rispetto all’allocazione suggerita dall’indice MSCI All Countries World, è ai minimi da molti decenni. Un ritorno, anche al livello medio ventennale, implicherebbe afflussi di oltre 600 miliardi di dollari.

Le prove di questi tre fattori hanno già cominciato ad emergere. “L’atterraggio morbido” degli Stati Uniti sembra realtà, con il paese che segnala costantemente un calo dell’inflazione e un’occupazione resiliente. In secondo luogo, le prospettive per la crescita degli Stati Uniti appaiono modeste, con il FMI che prevede una crescita del PIL dell’1,5% per il 2024. Costi di finanziamento più elevati, aumento della spesa federale e una politica stringente della Federal Reserve Bank rendono probabile una sorpresa al rialzo, un risultato sempre più irrealistico. Infine, con i tassi di interesse statunitensi ai livelli più alti dal 2007, il rischio che da qui in avanti si verifichino ulteriori rialzi è basso. In questo contesto il dollaro dovrebbe continuare a indebolirsi, fornendo ulteriore supporto all’asset class in futuro.
All’orizzonte
Guardando più lontano nel futuro, riteniamo che il mondo potrebbe trovarsi sull’orlo di un cambiamento epocale nella crescita economica. Negli ultimi decenni, questa è stata determinata da due fattori: le esportazioni cinesi e l’accesso degli Stati Uniti all’energia e al denaro a basso costo. L’integrazione e la globalizzazione hanno fatto sì che tutti gli investitori beneficiassero di questi fattori positivi, ma sono stati anche soggetti ai loro capricci. Gli ultimi tre anni, tuttavia, hanno visto un cambiamento di paradigma: non viviamo più nello stesso mondo globalizzato in cui vivevamo. In particolare, le sanzioni occidentali contro la Russia hanno reso molte aziende/individui non occidentali diffidenti. Ciò ha portato ad una frammentazione delle sfere di influenza globali. Il commercio diretto, aggirando il dollaro statunitense (USD), sta diventando sempre più comune, con rapporti regolari di transazioni dirette di materie prime in reminbi cinesi e rupie indiane.

Cosa significa questo per gli investitori? A nostro avviso, significa che il commercio globale e la crescita economica potrebbero dipendere meno dalle fortune di queste due nazioni e più dagli investimenti transfrontalieri tra paesi, il che potrebbe essere molto positivo per le economie emergenti in generale. La quota del commercio tra i mercati emergenti è già superiore al 40% delle loro esportazioni totali. I mercati emergenti costituiscono gli ultimi grandi motori di crescita del mondo: hanno popolazioni vaste e giovani, sono ben istruiti e dotati di spirito imprenditoriale, stanno aumentando rapidamente la loro ricchezza, beneficiano di investimenti di capitale interni e in entrata e sono sempre più gestiti da governi stabili e fiscalmente conservatori. Una maggiore integrazione delle economie dei mercati emergenti contribuisce a sostenere questa crescita e a ridurre la dipendenza dal mondo sviluppato, che cresce più lentamente.

È già abbastanza difficile prevedere i mercati, per non parlare di garantire che tali previsioni si realizzino in un periodo arbitrario di 12 mesi. In effetti – per ironizzare sui nostri colleghi che seguono i mercati obbligazionari – su un orizzonte sufficientemente lungo, qualsiasi inflazione è transitoria! Come il nostro approccio agli investimenti, anche le nostre prospettive nei confronti dei mercati emergenti dovrebbero essere viste in un’ottica di lungo termine. I mercati emergenti offrono opportunità di crescita strutturale a lungo termine, imprese di livello mondiale, dati demografici favorevoli e forza lavoro a basso costo e altamente qualificata. Investire nei mercati emergenti dovrebbe rappresentare un’allocazione significativa a lungo termine per qualsiasi investitore! Tuttavia, nello spirito della stagione, riteniamo che il 2024 possa offrire il migliore mix di fattori da un decennio a questa parte e siamo molto ottimisti riguardo ai prossimi 12 mesi.

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