È stato un anno di speranze e delusioni. L’economia globale, in crisi per la maggior parte del 2020 a causa del coronavirus, ha visto un raggio di speranza a inizio 2021, quando i vaccini promettevano di risolvere la situazione. Nella prima parte dell’anno non si è fatto che parlare di reflazione, sostenuta da una politica monetaria accomodante e da una generosa spesa pubblica.

 

Ora che ci avviciniamo alla fine dell’anno, le speranze si sono assopite. Dopo che il nefasto termine “stagflazione” è brevemente salito alla ribalta, l’inflazione minaccia ora di essere la guastafeste. L’aumento dei prezzi sta creando preoccupazione sia tra i policymaker che nei mercati finanziari. Nella maggior parte del mondo, la salita dei prezzi è attribuita a difficoltà dal lato dell’offerta, a causa delle problematiche logistiche sorte durante la pandemia. Negli Stati Uniti, un aumento della domanda dei consumatori è andato ad aggiungersi ai problemi delle catene di approvvigionamento, spingendo l’inflazione ai livelli massimi da oltre trent’anni. Prezzi più alti per petrolio e gas non sono certo d’aiuto.

 

In questo contesto, è naturale chiedersi cosa accadrà l’anno prossimo. Tutti gli operatori stanno cercando di prevedere come si muoveranno le banche centrali in questo contesto. Ma il dilemma che devono affrontare non è semplice: sebbene negli USA sembra essersi radicato un certo ottimismo sulla crescita economica, il resto del mondo sta ancora faticando nei postumi della pandemia.

L’enigma cinese

Tra le banche centrali, la Federal Reserve americana ha già iniziato a ridurre gli acquisti di asset, mentre la Bank of England ha avuto una falsa partenza con l’aumento dei tassi e la Banca Centrale Europea non sembra aver fretta di far nulla, poiché la sua economia è molto più allineata a quella cinese.

Chinese weakness may continue

La chiave per risolvere l’enigma sarà proprio la Cina, dove gli sforzi delle autorità per ridurre la leva finanziaria del sistema economico, così da assicurare maggiore stabilità, hanno coinciso con la pandemia. La debolezza della seconda economia globale è guidata da una minore spesa pubblica, dalla ridotta spesa per capitale e dallo stop al credito facile. Gli alti tassi di risparmio, tipici per la Cina, così come la domanda dei consumatori debole, costituiscono altri fattori negativi. Ci sono poi segnali di problemi nel settore immobiliare, come esemplificato dal caso Evergrande.

 

Se aggiungiamo a questo quadro il renminbi forte e gli elevati tassi di interesse reali, sembra fuori discussione una prospettiva di ripresa rapida. Se le esportazioni vanno bene, le consegne non sono abbastanza buone, a causa dei rallentamenti globali. La Cina non sta facendo alcuno sforzo verso una reflazione, e questo non è beneagurante per la crescita globale.

Cambiamento delle politiche

Questo scenario è ben esemplificato dall’aggressivo appiattimento ribassista della curva dei rendimenti: i rendimenti delle obbligazioni a breve scadenza aumentano più velocemente di quelli delle obbligazioni a lunga. I bond con scadenze inferiori stanno salendo rapidamente in scia alla svolta da falco delle banche centrali, volta a combattere l’inflazione.

 

 

Le autorità non possono apparire ferme davanti a un’accelerazione dell’inflazione. Allo stesso tempo, non possono permettersi di compiere un errore di politica monetaria, anticipando troppo una stretta.

 

Al momento, nella nostra strategia abbiamo una posizione lunga sul dollaro (ci aspettiamo una salita del biglietto verde) e corta sui tassi USA (scommettiamo che i prezzi possano scendere) rispetto al resto del mondo. Un dollaro in salita rappresenta un cuscinetto per prezzi più alti dei beni importati, specialmente dalla Cina. Riteniamo che la Fed preferirebbe un biglietto verde più forte e punti a irrigidire le condizioni di finanziamento per famiglie e imprese inducendo una maggiore volatilità.

 

Questo approccio eviterà un sell off sostanziale sui mercati obbligazionari. Tuttavia, un dollaro forte potrebbe danneggiare i mercati emergenti, che saranno obbligati a irrigidire le proprie politiche monetarie per evitare la svalutazione delle proprie valute, e questo potrebbe rappresentare un ostacolo alla crescita. Gli ingredienti per un sell off obbligazionario sono rappresentati da un dollaro più debole e/o da tassi di interesse reali più bassi con una crescita a base più ampia. Fattori che al momento non vediamo.

Aumenti dei tassi

Entrando nel nuovo anno, la Fed continuerà con una retorica dura sulle proprie intenzioni di politica monetaria, cosa che potrebbe creare opportunità di acquisto sui Treasury. Sebbene i timori di mercato circa potenziali aumenti dei tassi possano aumentare, in definitiva non ci aspettiamo che tali rialzi compensino quanto prezzato dal mercato, poiché la crescita fuori dagli Stati Uniti sarà un motivo di preoccupazione. Per questo il tasso terminale, vale a dire il proxy di quello che sarà il tasso Fed Funds al suo picco nel ciclo attuale, rimane basso. Alla fine, la volatilità probabilmente manderà in corto circuito la parte corta della curva dei rendimenti.


Saremo pronti a rivedere le nostre view durante il 2021, se lo scenario si rivelerà quello che ci aspettiamo; ci aspettiamo volatilità, che aiuterà a far irripidire la curva dei rendimenti e rendere più economici gli asset di rischio. Ci aspettiamo che anche gli asset dei Mercati Emergenti saranno a buon mercato il prossimo anno.

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